giovedì 23 giugno 2016

Una lezione particolare

Gi sudato con tanto di macchie di henné, perché così vale di più

Ultime lezioni al Dojo, molti hanno disertato, un po' perché stanchi, un po' perché il caldo improvviso ci avvolge tutti nelle sue spire, condite da nefaste pizzicate di zanzara.
Stasera eravamo in cinque, io unica donna con cintura più alta.
Ho guidato il rito del saluto ed il maestro, in preda a non so quale particolare entusiasmo, mi ha ordinato di guidare anche il riscaldamento.
Inizio con vari giri di corsa attorno al tatami, un po' in preda all'emozione perché non ho mai gestito un riscaldamento prima di stasera.
In poche parole, ho imparato ad insegnare, a guidare, ad avere sotto di me un manipolo di uomini muti ed obbedienti.
Una sensazione indescrivibile.

Dopo aver svolto assieme al mio manipolo un po' di esercizi, cadute e kururunfa, è stato il momento di ripassare le tecniche, quindi è rientrato il maestro, che le ha spiegate e formato le coppie.

In una palestra dove il sole ha battuto furibonde martellate per tutto il pomeriggio, il judogi (kimono con maniche e pantaloni lunghi in cotone grosso) ti si incolla addosso, i movimenti sono impediti dai pantaloni larghi, ma che si attaccano  alle gambe, e magari si rischia di restare in mutande, come mi è già successo del resto.
Adattarsi a condizioni non sempre favorevoli fortifica l'animo, lo ingentilisce, ti fa sentire un po' samurai.
E dopo aver studiato e provato le tecniche, col sudore che appiccica i capelli e il Gi, ecco che il maestro mi ha chiamata al centro.
Non ho avuto il tempo di realizzare che stavo facendo l'esame. Certo, non era il momento giusto per farlo, ormai avevo dato tutto.

Ho tirato la cintura gialla con forza, con attacchi precisi, rapidamente. Ed anche la prima dell'arancione, un caricamento con presa morbida al braccio. Ho proiettato il mio compagno, ma una fitta al ginocchio sinistro mi ha costretta per terra, non mi muovevo più, mi lamentavo.
In quel momento ho pensato che il mio esame sarebbe stato rinviato a data da destinarsi ed invece, piano piano, mi sono rialzata ed ho continuato.
Tutto.
Fino alla fine.
Non è stato un esame particolarmente brillante, che mi è costato pure dieci flessioni per punizione, ed un paio di tecniche tirate con incertezza, ma un esame dove comunque ho tirato fuori tutto e dato tutta me stessa.
Per ogni calcio, per ogni pugno c'era un Kiai che scaturiva da ogni mia emozione, ogni calcio era un calcio al passato, ogni pugno era furente, con la grinta di una donna che vuole credere, che vuole trasformarsi.
Che tende alla perfezione.

I complimenti non sono mancati, persino il maestro più severo ed esigente mi ha baciata le guance, nonostante fossi sudata fradicia, dicendomi con grande sincerità: " mi sei piaciuta!"
"mah, insomma, le prime due della marrone seconda le ho fatte un po' così"
"ma tu mi sei piaciuta anche perché sei incazzata, hai grinta!"

Ecco, questo voglio esportare dal Tatami.
La grinta.
La lezione è terminata così, con gli applausi del manipolo di uomini che ho guidato.
Il saluto finale.
E poi a casa.



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